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Mi trovo in una stanza gigantesca, di cui non ne riesco a definire gli angoli. Forse è sferica.
Ovunque mi giro vedo solo specchi, ognuno diverso dall’altro.
Non esistono copie, tutti meravigliosamente unici. Alcuni sono molto luminosi, altri molto tetri. La loro particolarità è che hanno tutti modi differenti di riflettere ciò che si palesa d’innanzi a loro.
Siccome la mia immagine è la sola certezza che ho quando mi trovo al cospetto di uno specchio, mi concentro su di essa.
Mi muovo curiosamente a destra e a sinistra, e le figure che vedo riflesse non sono mai uguali.
Ad un certo punto mi fermo, uno specchio estremamente luminescente attira la mia attenzione. Lo guardo e timorosamente mi avvicino. Non riesco a vedere bene, emana troppa luce. Proseguo verso di lui. Il bagliore mi acceca, non vedo più nulla, sento sbilanciarmi in avanti, cado. Sono dentro al riflesso, lo specchio mi ha risucchiato.
Mi rialzo, non sono più io ma qualcosa mi dice che sono ancora io.
Così corro alla ricerca di una superficie in grado di riflettere ciò che ha davanti, ad esempio uno specchio. Mi trovo in una stanza apparentemente uguale a quella dall’altra parte. Un sentore mi permette di dedurne le sottilissime differenze.
Mi ritrovo senza un senso logico davanti ad uno specchio rigido. Non sono io, ma qualcosa mi dice che sono io.
Vedo riflessa una ragazza di vent’anni, studentessa di medicina. Viso dolce da bambina, sguardo attento, naso leggermente pronunciato ma elegante, corpo sensuale ma non volgare, un filo esile.
Sono coraggioso ora, o coraggiosa. Non so se sono io, ma qualcosa mi dice che sono io. Percepisco un brivido lungo la schiena, una sensazione nuova. “Una stregoneria” penso.
Il sogno di curare i malati diversifica il mio sguardo sul mondo, ecco cosa c’era di diverso. Ho un motivo. E’ nata la forza d’animo. Non è accaduto nulla fuori, perché tutto è accaduto dentro.
Ecco il sogno che si palesa davanti a me in forma luminosa e sferica.
Un senso di amore profondo mi invita a custodirlo e senz’altro proteggerlo. Lo avvicino al petto e lui lo inghiotte.
Sono avvolto da un vortice luminoso: è lo specchio, mi sta riportando indietro, un “rewind” alla velocità della luce.
Sono sdraiato a faccia in giù, mi rialzo, sono io. Ma qualcosa mi dice che non sono più io.
Poi capisco, lo sguardo sul mondo non è più del tutto “il mio”. E’ mutato dopo l’incontro con quella studentessa.
Mi ha regalato la protezione del sogno, la perseveranza per rincorrerlo.
“Che strano” penso. “Quaggiù sono trascorsi tre anni e mi sembra di esser stato via cinque minuti”. Lo specchio è scomparso, lo cerco ma non lo trovo più. Di quella ragazza ne ho solo un lontano ricordo che più lo penso più sbiadisce. Decido quindi di non pensarci più. “Lascialo andare” mi dico.
Mi volto, ora proseguo il cammino. La stanza è piena di specchi. Io sono io, ma qualcosa mi dice che non sono più io.
Il viaggio continua.